Laura invece aveva i capelli neri, gli
occhi verdi e un sorriso splendido. L’ammirazione che costantemente suscitava
negli altri, ne aveva fatto una ragazza forte e sicura di sé. Era la preferita
della madre e anche dalle zie materne, che non si curavano di contenere questa
loro scelta.
Ciò non sarebbe stato un gran danno se
della bellezza di Laura non ne avessero fatto un mito, accentuando le
differenze nel paragone con Anna. Spesso si recavano a casa di Francesca e
s’incantavano a guardare Laura, parlottando fra loro, anche in presenza di
Anna: “Guarda che sorriso, potrebbe fare la pubblicità a qualsiasi marca di
dentifricio.” Diceva una all’altra: “E quegli occhi, non ne ho visto di più
belli in vita mia. È proprio un amore.”
Esse si avvicinavano a lei e le
aggiustavano i capelli, le scioglievano la cinta dell’abito legandola di nuovo
in un gran fiocco che poi distendevano minuziosamente. Se il loro sguardo
ridente e soddisfatto incrociava quello di Anna, cambiavano espressione. Si
capiva benissimo cosa in quell’attimo passasse nelle loro menti, e anche se non
veniva pronunciata nessuna parola, l’eloquenza delle occhiate era incisiva.
Anna allora provava un brivido di
ribellione e si ritirava stendendosi sulla coperta, sistemata per terra in
soffitta. Quel mondo non la gradiva e lei lo rifiutava annullandolo nella
frequente lettura dei libri, che l’aiutava a non considerarlo. S’immedesimava
nelle eroine dei romanzi che leggeva, e diventava a sua volta bellissima, forte
e disinvolta: tuttavia quando tornava alla realtà, era la solita tragedia.
Pettinando i capelli di fronte allo
specchio, affiorò nella mente il pensiero delle zie, provò a sorridere e il
sorriso divenne una smorfia di disgusto considerando la non giusta posizione
dei canini; girò così il viso leggermente a sinistra sempre osservando
l’immagine, e la piccola gobbetta sul naso divenne ai suoi occhi, grande come
un cocomero.
Si allontanò dallo specchio piuttosto
tormentata, e legando in fretta i capelli si sedette sul lettone. Lo sguardo
scivolò sulle gambe, e con fastidio le cancellò dalla vista, alzando il volto
verso la lama di luce che scendendo dal tetto metteva in evidenza il multiforme
pulviscolo, che danzava nel suo naturale tremolio. Anche le gambe le sembravano
storte, ella le legava la notte dopo averle avvolte con un asciugamano, e anche
se era passato più di un mese da quando aveva iniziato quella cura di sua
invenzione, non vedeva alcun miglioramento.
Pur scavando dentro la sua anima,
cercandovi delle colpe per aver meritato da parte della natura quel trattamento
così amaro e non trovandovi valido motivo si sforzava così di
non odiare la sorella per non sentirsi in colpa.
Il
brano è tratto da “Anna nel paese dell’anima,” di Agostina Usai, Sa Babbaiola
Edizioni, anno 2021
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