Quando
quelle critiche venivano rivolte alla sua persona, tornava a casa quasi di
corsa, a volte con gli occhi pieni di lacrime cercando di estraniarsi il più
possibile per non sentirsi sporca. Perché il Signore le aveva dato un cervello
per pensare? Le veniva il dubbio che in lei ci fosse qualcosa di sbagliato,
dato che si sentiva profondamente diversa dalle altre ragazze, che accettavano
spesso con gioia la loro imposta condizione di sottomissione all’altro sesso.
Forse sarebbe stato meglio se fosse nata maschio?
No,
non era quello che avrebbe voluto, sarebbe passata dalla parte opposta che non
le era ugualmente gradita. Perché il genere umano non si rendeva conto che, per
il bene di tutti, ciò che doveva essere considerato, era il fatto di essere
all’unanimità persone? Senza
distinzione di sesso, età, casta, prestanza fisica, condizioni economiche ecc.;
solo ed esclusivamente persone da amare e rispettare.
Pativa
dell’essere parte di quel mondo che non le era confacente, e pensando che non
sarebbe stato giusto pesare per sempre sui suoi genitori, volgendo lo sguardo
al futuro doveva considerare un eventuale compagno.
Si
sentiva in trappola, circondata com’era da parenti e da conoscenti in totalità
tradizionalisti, mancandole la forza necessaria per contrastarli e imporsi.
Certo si sarebbe dovuta rassegnare a rintuzzare i suoi sogni e la sua voglia di
esprimersi, doveva anche imparare a mordere la lingua in presenza degli uomini
tutte le volte che il suo pensiero non era in sintonia con l’opinione di
questi; che le piacesse o no la sua mente era prigioniera di un corpo di donna,
per giunta imperfetto.
Nondimeno
presagiva però la sua vita impegnata in una sorta di battaglia interiore, e
senza sapere chi sarebbe stato il suo futuro partner soffriva per lui, perché
sicuramente non sempre sarebbe riuscita a contenere la sua
esuberanza d’idee, e ai suoi occhi avrebbe messo in pericolo quella comoda
posizione di privilegio che le regole della società gli regalavano, e a cui
naturalmente sarebbe stato restio a rinunciare.
Le
sarebbe piaciuto conoscerlo prima di fidanzarsi, avere la possibilità di
discuterne, ma era impossibile, non era permesso. In cuor suo spesso
desiderava di poter lavorare anche dopo il matrimonio, ma era troppo debole per
farsi valere; inoltre rischiava comunque di creare infelicità perché non poteva
aspirare a un compagno d’idee moderne. Nessuno avrebbe voluto infilarsi nel
vespaio del clan a cui lei apparteneva e il desiderio di non allontanarsi dal
paese, formare una famiglia e crescere dei figli, era piuttosto
forte per potervi rinunciare.
Era ciò che pensava, quando la madre e le sorelle stavano insieme alle vicine e alle parenti, e arricchivano la loro cultura delle regole mentre continuava a macinare libri di tutti i tipi. La bellissima Laura riceveva molto spesso lettere di spasimanti che volevano sposarla, era senza dubbio la più attraente del paese, lo sapeva e non di rado ne rimaneva infastidita. Anna pensava anche che quello era uno dei lati negativi della bellezza eccezionale, e si consolava considerando quanto per quel lato la propria vita fosse invece tranquilla.
Il brano
è tratto da “Anna nel paese dell’anima,” di Agostina Usai, Sa Babbaiola
Edizioni, anno 2021
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